Il cimitero elettorale

3 01 2012

Domenica, sotto un torrido sole di giugno, ho accompagnato il nonno al cimitero del mio rione, i Cappuccini, perché voleva dare un saluto alla nonna. Io non sono entrato e l’ho aspettato in macchina, pensando che avrò tutto il tempo per conoscere quel posto e prenderne confidenza quando – che buffo! – di tempo non ne avrò più. Inoltre, dentro, tutto è così triste, e di tristezza, fuori, ce n’è talmente tanta che non si capisce il motivo di questa aggiunta gratuita. L’aria che si respira in questa oasi di deserto ha qualcosa di grottesco: al silenzio, per rispetto ai defunti, fa da contraltare una totale mancanza d’intimità, sicché è impossibile salvaguardare il senso alto e nobile del pudore. E, infine, rituali di fiori che, appassendo in pochi giorni, aggiungeranno altra morte ad un luogo che ne è già permeato fin troppo. Non hanno pace le spoglie degli antenati: giacciono sotto la pesantezza di un silenzioso e sacro rispetto; affogano tra onde, non richieste, di dolore e pietà; non godono del beneficio vitale dell’ironia, proprio ora che sono attrezzati per sopportare, persino, quella della sorte: ovvero l’ultima, tragica ironia.

All’esterno, il cimitero, è ancora più assurdo, pervaso com’è da un senso di perenne decadenza. Si apre con un portico di tre arcate ristrutturate e sormontate da un frontone il cui intonaco si macera giorno dopo giorno, di pioggia in pioggia. Un muro diroccato recinta il resto, offrendo, a chi l’osserva, la sensazione forte e precisa, quasi straziante, dell’abbandono. E, forse, è giusto così: la vita ha abbandonato i morti e chi li ospita deve, in qualche maniera, adeguarsi, abbandonandosi nel tempo al degrado di sé stesso.

Un po’ più in là, sul piazzale per il parcheggio delle auto, i pannelli pubblicitari del Comune sfoggiano i volti e gli slogan degli ultimi candidati del secolo al ruolo di sindaco di Vercelli e di altre svariate cariche. Basta parlare è ora di fare, coerenza e serietà, non fermiamo il cambiamento, la vera e sola alternativa… sono solo uno stralcio dei nuovissimi vecchi messaggi dei teatranti di turno, con uno dei quali entrerà in scena il futuro, attesissimo, terrificante, già visto e noiosissimo, terzo millennio. Alcuni simboli di partito si trovano su più manifesti, segno della gran confusione, ma su tutti aleggia lo squallore di chi, scrivendo il proprio nome a caratteri cubitali, è talmente mediocre e retorico da restare sempre e comunque e straordinariamente anonimo, illeggibile.

Questo è davvero il luogo più idoneo per fare propaganda: solo i morti possono ascoltarvi, solo loro non hanno nulla da temere votandovi, perché hanno il vostro stesso identico respiro.

Dietro questi pannelli comincia una vaga prateria, brulla eppure molto più viva e umana, quasi allegra. L’occhio malinconico la segue e la scorre fino a vederla diradare e farsi pietra: ovvero il cemento armato di un palazzo fatiscente, sinonimo stridente di popolare. E l’occhio sale, lento e inesorabile, per raccogliere le immagini d’una vita disadorna: un balcone da cui sporgono fili di stendibiancheria con panni messi ad asciugare da una donna che ripete gesti eterni, imparati chissà quanti anni, quanti voti e quante giunte comunali fa. Faccio appena in tempo a vedere la donna, esausta, mentre si passa la mano sinistra sulla fronte per tergersi un po’ di sudore, quando arriva mio nonno. Appoggio le mani e le braccia sul volante, la testa sconsolata tra i gomiti, e guardo in direzione di quel balcone. Accendo la macchina e riparto lentamente.

«Coraggio – adelante signora! – e se questo può servire a lenire un pochino il suo male, disincantata sorrida con me alla domenica, al secolo, al millennio, a Vercelli, alla Provincia, alla Regione e all’Europa che sgocciolano via sotto quei panni inzuppati di noia e di sole».

B.B.B.

(1999 – dedicato a mia nonna) 


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Una risposta

4 01 2012
icittadiniprimaditutto

Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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